Il settore immobiliare rappresenta uno dei volani dell’economia, in particolare in Italia, perché ha l’effetto di coinvolgere una moltitudine di altri settori produttivi e di erogazione dei servizi. E’ quindi importante favorire lo sviluppo dell’edilizia per ottenere effetti trainanti di altri comparti economici. Ma oggi, a differenza che nel passato e soprattutto nel nostro Paese, gli interventi non vanno indirizzati solo ad un’ulteriore espansione del comparto immobiliare, ma anche al recupero di quello esistente al fine di limitare il danneggiamento del suolo e dell’ambiente. Lo sviluppo diretto alla rigenerazione urbana avrà effetti positivi in termini di vivibilità delle città, riduzione dei consumi energetici e miglioramento della qualità della vita. Occorre tenere presente inoltre l’andamento demografico negativo globale che, le giuste politiche a sostegno della natalità, ammesso che producano significativi effetti, potranno influenzare solo nel lungo periodo. Il nostro paese è al terzo posto nel mondo per speranza di vita, ma al quindicesimo per la qualità di vita degli anziani. Si è migliorata l’aspettativa, ma non si è intervenuti sulla prevenzione, si prolunga la cura, ma non si evita la malattia. Altri fenomeni che hanno portato ad una radicale modifica del comparto edilizio residenziale sono rappresentate dal cambiamento dell’idea di abitazione, una volta vista spesso come “la casa per tutta la vita”, oggi condizionata da una maggiore mobilità degli individui che considerano l’abitazione un punto di riferimento non necessariamente stabile, ma legato a logiche di studio, lavoro, crescita della famiglia, cambiamento di gusti e di obiettivi, e non ultimo modalità differenti con cui si evolveranno anche le attività più tradizionali (smart working, intelligenza artificiale, scomparsa e riconversione conseguente del 70% delle professioni attuali che necessiteranno di spazi e posizioni differenti). Occorre pensare quindi le città in funzione di molteplici variabili, spingendo fortemente sul superamento delle barriere architettoniche, sui sistemi di mobilità sostenibile, sulle reti di comunicazione, sulla automazione e sulla domotica, ripensandole anche in un’ottica di nuovi concetti e nuove esigenze abitative. Gli organi normativi europei procedono a volte per schemi ideologici e per compartimenti stagni per cui alle buone intenzioni e ai giusti fini non seguono indicazioni di percorsi operativi praticabili che realmente guardano 15 a quello che effettivamente il mercato può da una parte offrire, dall’altra richiedere. All’etica dei principi bisogna sostituire, a livello politico e di governo, quella della responsabilità. Senza considerare che spesso le norme comunitarie non sanno distinguere tra le differenti realtà locali tra una nazione e l’altra con una miopia in termini di clima, di cultura, di patrimonio edilizio completamente differente ad esempio tra l’Italia ed i paesi nordici. La direttiva sul recupero dell’efficientamento energetico delle abitazioni italiane, nella vecchia e superata formulazione, non faceva eccezione a questo difetto di impostazione anche perché si è prestata ad essere travisata soprattutto da chi ne ha fatto una lettura (se la ha fatta) di parte, interessata e superficiale. Bisogna però aggiungere, per onestà, che a livello nazionale si alzano gli scudi a difesa delle prerogative specifiche del nostro paese e dei suoi cittadini, quando i provvedimenti diventano di imminente attuazione, senza essere entrati prima e per tempo nel merito, con proposte alternative, realistiche e serie.

La situazione degli immobili italiani per anno di costruzione 16 La prima analisi da fare nell’affrontare il problema di qualsiasi intervento di carattere generale sul patrimonio immobiliare italiano e in particolare su quello ad uso abitativo è la classificazione degli immobili per anno di costruzione. Questa analisi è significativa ed utile per capire non solo la vetustà, ma la qualità delle costruzioni con riferimento ai materiali utilizzati e soprattutto alla vigenza, nel momento della loro costruzione, di norme dettate per la sicurezza o l’efficienza energetica. Norme per il contenimento del consumo energetico, per la prevenzione antisismica e il superamento delle barriere architettoniche soprattutto negli ultimi 50 anni. Emerge chiaramente dai dati statistici che oltre un quinto degli immobili hanno più di cento anni (2.150.000, pari al 21%) e che gli immobili costruiti negli ultimi 50 anni sono circa il 50 % dell’intero patrimonio edilizio del paese. Tra l’altro gli immobili più fatiscenti sono quelli utilizzati dalla popolazione più fragile (famiglie a basso reddito, anziani) e che vive nelle periferie delle grandi città. Dal 1981 al 2020 (in quaranta anni quindi) si sono costruiti o integralmente ristrutturati appena 2.597.000 immobili pari al 25%. Questi sono dati di estrema preoccupazione per la sicurezza e per l’efficienza energetica degli edifici e gli effetti sono ben visibili dai danni che conseguono i non rari eventi naturali che si verificano (terremoti, alluvioni, frane ecc.). La situazione energetica degli immobili e il super bonus. Dal punto di vista energetico l’Italia ha un patrimonio immobiliare costruito prevalentemente negli anni antecedenti l’introduzione di norme dirette al risparmio energetico. La legge 30 aprile 1976 n. 373 è la prima norma in materia di contenimento del consumo energetico per usi termici negli edifici nuovi o da ristrutturare. Prescriveva gli standard per l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici per il riscaldamento, nonché le caratteristiche di isolamento termico degli edifici da costruire o ristrutturare, nei quali fosse prevista la installazione di un impianto termico di riscaldamento degli ambienti. Legge rimasta inattuata e poi integralmente abrogata, quasi venti anni dopo, dall’art. 37 della legge 9 gennaio 1991. Gli edifici abitativi energivori (sotto la classe D) costituiscono il 76% del patrimonio immobiliare italiano, si tratta di 7.784.680 immobili. Le norme del Superbonus, le peggiori in assoluto emanata nella storia italiana, che hanno distrutto quasi 150 miliardi di euro per migliorare appena lo 0,6% degli edifici, costituiscono la dimostrazione palese della bulimia normativa e dirigistica. Le conseguenze del Superbonus sono evidenti: devastazione della finanza pubblica, aumento incontrollato dei prezzi, qualità degli interventi scadente e, soprattutto, un provvedimento a cascata non armonizzato in relazione ai redditi ed alle reali necessità di intervento.

La Direttiva UE e l’obbligo dell’efficientamento energetico: ideologia alla realtà. dalla La Direttiva Ue nella sua realistica ultima proposta del 07/12/23 impone comunque di migliorare l’efficienza energetica degli immobili. Gli interventi sono simili a quelli previsti per il Superbonus che, ricordiamo, ha interessato solo lo 0,6% degli edifici, quindi complessivamente meno di 700 mila immobili e una spesa devastante di oltre 150 miliardi di euro. Per raggiungere l’obbiettivo della Direttiva nella precedente versione si dovrebbe intervenire ancora su circa 7 milioni di immobili con una spesa di 10 volte superiore a quella del Superbonus. Non era evidentemente un obbiettivo realisticamente realizzabile. Occorre fare proposte che prevedano interventi graduali e compatibili con le risorse disponibili. Così come si è provveduto a rinnovare il parco automobilistico per gradi (prima l’euro zero e poi man mano gli altri) la stessa metodologia si dovrebbe utilizzare per gli immobili. L’accordo raggiunto il 7 dicembre 2023 in sede preliminare dal trilogo (riunione informale di preparazione costituita da rappresentanti del Parlamento, del Consiglio e della Commissione UE) ha raggiunto la mediazione su un testo realistico da portare poi, entro febbraio, alla approvazione in sede di Parlamento e di Commissione. Rispetto al vecchio testo della Energy Performance of Buildings Directive, presenta, finalmente delle novità importanti. La nuova proposta di piano per la decarbonizzazione del patrimonio edilizio 17 non è basato su un approccio ideologico dai costi insostenibili e quindi inattuabile, ma da un’indicazione di percorso flessibile negli strumenti e nei tempi di attuazione, che lascia agli Stati Membri ampi margini di manovra per raggiunge gli obbiettivi di risparmio energetico e sostenibilità ambientale.

Il termine finale di attuazione dell’accordo è il 2050, ma sono previste tappe intermedie di riduzione dei consumi per il settore edilizio: del 16% al 2030 e del 20-22% al 2035. Agli Stati Membri compete il compito di fissare piani e modalità per raggiungere gli obbiettivi, ma con un limite invalicabile: si dovrà intervenire su almeno il 43% del patrimonio edilizio più energivoro. Gli Stati UE potranno esentare alcune categorie di edifici quali quelli storici, case vacanza, edifici di culto, agricoli e comunque edifici inferiori ai 50 mq. Il problema che non si affronta è la questione di edifici esonerabili collocati all’interno dei condomìni. Altre prescrizioni riguardano la dotazione di pannelli fotovoltaici negli edifici (residenziali e non residenziali) e le infrastrutture per la mobilità sostenibile. 18 L’aspetto forse più interessante ed improntato al realismo è la previsione (art. 15a) di interventi finanziari di sostegno. Con ciò si è dato ascolto alla Bce che aveva manifestato alcune critiche non tanto sugli obbiettivi della Direttiva quanto sulla necessità di accompagnarla con un piano finanziario realistico e attuabile. La critica della Lagarde andava oltre e individuava ulteriori punti che avrebbero potuto creare problemi attuativi, tra questi la mancata armonizzazione, tra i Paesi membri, delle definizioni di classi energetiche e le relative metodologie. Ciarán Cuffe componente della commissione industria, relatore della Direttiva sulle case green sostiene che “bisogna prendere atto che gli edifici sono responsabili di più di un terzo delle emissioni con effetto serra nell’Ue. Quindi non è solo sugli immobili abitativi che occorre intervenire, ma su tutto il settore immobiliare. Lo scopo della direttiva sulle case green è di aiutare i Paesi membri a far sì che gli immobili siano più comodi, meno dispendiosi, riducendo l’uso di fonti fossili, combattendo la povertà energetica e l’aria inquinata, nelle nostre case come nelle nostre città è da perseguire”. Ora abbiamo finalmente un testo che anche se migliorabile è comunque attuabile. Con queste indicazioni, salvo ripensamenti dell’ultima ora, il nostro governo dovrà misurarsi nella elaborazione di un piano casa che necessariamente dovrà avere una visione temporale di almeno 30 anni

Un nuovo “Piano Fanfani” Le Associazioni di categoria debbono aprire immediatamente un tavolo di confronto, occorre passare a proposte percorribili per raggiungere quelle finalità a cui non possiamo sottrarci, ma cercando di promuovere una procedura che non escluda nessuna delle tipologie di proprietari, ma che valorizzi invece il patrimonio immobiliare esistente. Sarebbe utile istituire un nuovo Coordinamento permanente sul “Piano casa” composto dalle Organizzazioni della Proprietà e dell’Inquilinato, in sostituzione del precedente Osservatorio permanente sulla Casa istituito alla fine degli anni 90 dall’allora Ministero Lavori Pubblici ma di fatto da molto tempo rimasto solo sulla carta. Da questo partire per proporre un’ipotesi aperta di intervento strutturato e di lungo periodo per il recupero del patrimonio edilizio, una sorta di nuovo “Piano Fanfani” che evidente per non restare sulla carta dovrà essere realisticamente supportato da adeguati stanziamenti finanziari oggi difficili da ipotizzare, ma condizione necessaria per poter pianificare un progetto concreto. Il nostro è un modesto, ma realistico, contributo di idee da cui partire per assicurare alla proprietà immobiliare la sua funzione sociale (art.42 Cost.) e nello stesso tempo salvaguardarne i valori e la redditività. Per i condomìni, a legislazione vigente, di fatto, salvo le rare eccezioni di quelli in cui vivono detentori di redditi elevati, è impossibile poter deliberare le opere necessarie al recupero del patrimonio immobiliare. I bonus fiscali sono improponibili stante la situazione di non capienza della stragrande maggioranza dei cittadini. La Direttiva Europea se non adeguata alla situazione reale delle risorse finanziarie disponibili e in assenza di altrettanto adeguato quadro normativo si infrangerebbe, inesorabilmente, nella impossibilità di essere applicata. Gli edifici condominiali su cui occorre intervenire sono il punto critico di ogni piano casa degno di questo nome. Oltre 45 milioni di persone nel nostro Paese vivono in condominio, gli edifici sono oltre 1.200.000 e 30 milioni le unità immobiliari. Se non si rende possibile il recupero energetico di questo settore si rischia il totale fallimento degli obbiettivi. Non è solo questione di risorse, ma soprattutto delle norme che regolano la vita condominiale non più idonee a rispondere alle esigenze di un piano moderno di salvaguardia e di recupero del patrimonio immobiliare. Cambiare le norme non ha costi e anzi aiuta a semplificare le procedure decisionali in merito alla gestione condominiale. Le ragioni della necessità del cambiamento del quadro normativo sono evidenti e molteplici ma saranno oggetto di altro più specifico documento. E’ necessario quindi dilazionare nel tempo gli interventi e le risorse per fasce di edifici, come 19 d’altra parte consente la nuova Direttiva UE, con riferimento agli anni di costruzione, prima i più vecchi ed energivori, poi i più recenti; vanno privilegiati i condomìni rispetto alle abitazioni uni familiari. Le grandi proprietà immobiliari e gli enti pubblici e privati dovrebbero essere i primi a dovere adeguare gli immobili e senza oneri per lo Stato. Niente bonus o super bonus e conseguente aumento del debito pubblico, ma impiego di risorse private disponibili e semplice garanzia, con rischi limitati dello Stato. Stesso principio del “Piano Fanfani”, secondo cui chi impiega soldi propri vuole opere ben eseguite e costi non gonfiati. Il contributo dello Stato dovrebbe consistere in un prestito di 40 anni a tasso zero. Il prestito potrebbe essere garantito dallo Stato che potrebbe iscrivere, per tale importo, ipoteca con costo di iscrizione azzerato. Il beneficio potrebbe includere sia le opere di manutenzione delle parti comuni che quelle interne alle singole unità. Se tale approccio incontra gradimento, si potrebbe ragionare su percentuali di finanziamento, sgravi e tassi di interesse. Le locazioni L’offerta della disponibilità di immobili in locazione va aumentata nel rispetto della tutela del proprietario ad ottenere un canone certo e remunerativo dell’investimento, ma anche della capacità di spesa delle famiglie.

L’Italia a differenza di altri paesi ha un prevalenza di immobili in proprietà. Ciò è stato un bene per i cittadini che hanno impegnato nell’acquisto della casa i loro risparmi, ma il mutamento della situazione congiunturale richiede un ripensamento. Oggi proprio per questa caratteristica esiste un blocco alla mobilità territoriale. Inoltre nel tempo sia la composizione delle famiglie che l’avanzare dell’età dei cittadini richiedono una modularità nella disponibilità di immobili idonei. Un immobile non è per tutte le stagioni della vita e della famiglia, pochi ormai, soprattutto i giovani, nascono, lavorano e vivono per tutta la vita nello stesso territorio. Ecco che occorre puntare sulla disponibilità di immobili, sia abitativi che commerciali, in locazione, non legata al “non posso comprare”, ma spesso al 20 “non mi interessa comprare casa”. Tutto questo è possibile incentivando il recupero del patrimonio immobiliare e implementando gli accordi territoriali sui canoni concordati estendendone l’efficacia alle locazioni commerciali. Sulle locazioni commerciali occorre puntare al superamento della legge 392/78 risalente ormai a quasi mezzo secolo fa, essendo le situazioni economiche e le esigenze produttive mutate. Anche sul punto, di grande rilevanza e direttamente connesso ad un possibile piano casa ci riserviamo di formulare interessanti proposte di rilancio e valorizzazione di immobili commerciali sfitti utili anche per rivitalizzare la vita e le abitazioni di quei Comuni in fase di rilevante decremento demografico per non dire di totale abandono. Citiamo solo, in tale ambito, che uno strumento per rilanciare gli immobili commerciali e nel contempo l’occupazione e lo sviluppo dell’imprenditoria e dell’autoimprenditorialità potrebbe essere quello di definire degli accordi territoriali ad hoc e conseguenti canoni concordati, gestiti dalla parti sociali come avviene per le locazioni di immobili residenziali che hanno dimostrato i loro effetti benefici. Si potrebbero identificare per esempio dei target specifici di inquilini, quali start-up, persone senza occupazione, giovani, categorie svantaggiate, da incentivare all’avvio d’impresa/autoimprenditorialità, attraverso la concessione di immobili ad uso diverso (ufficio, negozio, artigianale, produttivo) a canone calmierato dando ai proprietari disponibili un’agevolazione fiscale analoga allo sconto della cedolare secca. Infine occorre un intervento anche sulle locazioni brevi, una norma che non rappresenti una camicia di forza. Vanno individuate a livello locale le criticità e anche per questo settore puntare ad accordi di programmazione tra le varie categorie interessate con l’obbiettivo di evitare lo svuotamento della popolazione stabilmente residente dai centri abitati, ma nel contempo non penalizzare borghi storici e città d’arte a rischio, spesso, di abbandono. Per gli studenti universitari e i lavoratori precari non occorrono interventi di nuove costruzioni da parte del settore pubblico, è possibile coinvolgere i privati e nello stesso tempo puntare al miglioramento della mobilità territoriale per rendere accessibili immobili non necessariamente a nell’immediata vicinanza delle università e dei luoghi di lavoro. Occorre inoltre intervenire, snellendo le procedure di esecuzione degli sfratti, detassando i canoni non riscossi, un problema storico, che rappresenta non solo disagio per chi direttamente ne subisce le conseguenze, ma anche perdita di credibilità e di valore del mercato immobiliare che allontana molti investitori sia italiani che stranieri potenzialmente interessati ad acquistare e costruire per affittare


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Casabenessere è una rivista fondata nel 2005 da Giulia Berruti e rilanciata nel 2021 in versione digitale. Parliamo di immobili, accessori per la casa, decor, sostenibilità.