Superbonus 110% tutela della proprietà esclusiva, principio della solidarietà condominiale e lesione del decoro architettonico

In questo particolare periodo storico si fa dappertutto – stampa, televisione,
Internet, social network, … – un gran parlare degli interventi di riqualificazione energetica che rientrano nell’ambito di applicazione del c.d. Superbonus 110%. Questo superbonus costituisce, in effetti, una
grande opportunità sotto diversi aspetti: per l’ambiente (con la riduzione del consumo energetico e l’aumento dell’utilizzo di energia da fonti rinnovabili) e per l’economia, sia a livello macro (l’intero comparto dell’edilizia sta vivendo un momento di grande vitalità e ripresa) sia a
livello micro (le persone hanno l’opportunità, con costi minimi, di ristrutturare e migliorare le loro abitazioni, rendendole più efficienti sul piano energetico e aumentando il loro valore). Torna, tuttavia, di prepotente attualità il noto – e un po’ trito – luogo comune secondo cui
non tutto ciò che luccica è oro. La normativa che ha introdotto e disciplina il
superbonus ha creato un “meccanismo” complesso e piuttosto farraginoso, “pesante” dal punto di vista burocratico e poco agevole sul piano della “gestione” concreta. Non è, tuttavia, questa la sede per occuparsi
questo tema. Qui si intende affrontare un’altra delle non poche “facce” del superbonus 110%, una “faccia” meno tecnica e più strettamente
giuridica: quella del potenziale conflitto tra gli interventi eseguibili – e, quindi, deliberabili ad opera delle compagini condominiali –
nell’ottica e allo scopo di soddisfare l’ineludibile requisito del miglioramento delle due classi energetiche e il diritto di proprietà esclusiva dei singoli condomini. I termini della questione possono, nella loro sostanza, essere sinteticamente e schematicamente ricostruiti così:
1. L’accesso al superbonus 110% ha come indefettibile presupposto che l’intervento deliberato porti l’edificio condominiale a uno “scatto” di due classi energetiche. Questo il dato normativo: “Ai fini dell’accesso alla detrazione, gli interventi di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo devono rispettare i requisiti minimi previsti dai decreti di cui al comma 3-ter dell’articolo 14 del decreto legge 4 giugno 2013, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 90, e, nel loro complesso, devono assicurare, anche congiuntamente agli interventi di cui ai commi 5 e 6 del presente articolo, il miglioramento di almeno due classi energetiche dell’edificio o delle unità immobiliari situate all’interno di edifici plurifamiliari le quali siano funzionalmente indipendenti e dispongano di uno o più accessi autonomi dall’esterno .. ” [art. 119,
terzo comma, D.L. 19.5.2020 n. 34]
1.Nella maggior parte dei casi questo risultato può essere raggiunto attraverso la posa, sull’involucro esterno, di un cappotto termico, idoneo a isolare – riducendo le dispersioni di calore – l’edificio;
2.Tale cappotto termico produce, in concreto, l’effetto di rendere le pareti dell’edificio più spesse. Si arriva anche a un aumento di cm 14/15;
3.Se quanto sub c) non costituisce un problema sulle facciate, la stessa affermazione non è altrettanto vera per quanto riguarda i terrazzi: l’aumento dello spessore – verso l’esterno – della parete, infatti, ha come naturale conseguenza la riduzione del piano di calpestio (e, quindi, della dimensione) dei terrazzi;
4.I terrazzi non sono beni comuni, ma rientrano nella proprietà esclusiva dei singoli condomini;

  1. Ne viene che questi ultimi, per effetto della delibera dell’assemblea condominiale, si trovano “catapultati” nella necessità di subire la riduzione della dimensione dei loro terrazzi e, cioè, una – sul piano più strettamente giuridico – limitazione del loro diritto di proprietà;
  2. Il tema che si pone è se e fino a che punto sia possibile che la volontà della maggioranza dei condomini imponga al singolo condomino il sacrificio sub f).

l potenziale conflitto, cui si faceva dianzi cenno, nasce da questo:

Da un lato, la legge – il riferimento è all’art. 119, comma 9 bis, D.L. 19.5.2020 n. 34 – prevede che gli interventi di riqualificazione energetica siano validamente deliberati a maggioranza semplice. Con il voto favorevole, cioè, della – prendendo in prestito le parole dell’art. 1136, terzo comma, cod. civ., cui l’art. 119, comma 9 bis, D.L. 19.5.2020 n. 34 “fa eco” – “maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio”;

Dall’altro lato, la migliore e più autorevole giurisprudenza – il riferimento è a Cass. SS.UU. 14.4.2021 n. 9839 – ha efficacemente chiarito che l’assemblea condominiale, organo sovrano per le decisioni sulle parti comuni dell’edificio, non ha il potere di adottare delibere che “comprimano” il diritto di proprietà esclusiva dei singoli condomini, e che eventuali delibere siffatte, avendo “un oggetto impossibile (…) in senso giuridico – dando luogo, in questo secondo caso, ad un “difetto assoluto di attribuzioni – … “, sarebbe radicalmente nulle.
La portata e l’attualità di questo problema sono emerse con prepotenza quando il Tribunale di Roma ha pronunciato la sentenza 16.12.2020 n. 17997, con la quale ha espressamente statuito la nullità della delibera assembleare avente ad oggetto la posa di un cappotto termico che “invadeva” i terrazzi per alcuni cm.
Interessante è l’individuazione delle cause di tale nullità: approvando la realizzazione del cappotto di un certo spessore e andando, con questo, “ad incidere sulla riduzione della superficie utile (del piano di calpestio dei balconi)”, la delibera “determina una lesione del (…) diritto di proprietà” dei condomini con il terrazzo e, quindi, “va dichiarata nulla”.
Non ci sono dubbi circa la volontà del legislatore di “spingere” il superbonus 110%.
Basti, al riguardo, pensare che la normativa “è nata” a maggio del 2020 con la previsione di delibere adottate con la maggioranza del 50% + 1 dei condomini presenti in assemblea, titolari di almeno 500/1.000, e che nel successivo mese di ottobre tale maggioranza è stata – per così dire – ridotta da qualificata a semplice: non più 50% + 1 dei presenti e 500/1.000, ma 50% + 1 dei presenti e 334/1.000.
Del resto, questa normativa nazionale è stata adottata in esecuzione di normative europee e, più in generale, è in linea con normative internazionali e con la planetaria “corsa” alla sostenibilità, al rispetto dell’ambiente e al salvataggio del Pianeta.
Tutto questo per dire che l’innegabile “spinta” del legislatore appare più che giustificata e ragionevole, oltre che legittima.
Nella sua palese volontà di dare impulso a questa detrazione fiscale e agli interventi (e connessi benefici) ad essa collegati, tuttavia, il legislatore “si è scordato” di armonizzare i diritti e gli interessi della collettività – sia essa quella condominiale o quella, più ampia e “nobile”, nazionale e sovranazionale – con l’impianto normativo nazionale che, da sempre, è a presidio del diritto di proprietà del singolo.
In questo contesto, la giurisprudenza ha fatto “scendere in campo” il c.d. principio di solidarietà condominiale.
Si tratta di un condivisibile concetto di fonte giurisprudenziale, elaborato nel corso degli anni.
Essa consiste nel principio “secondo il quale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé il contemperamento di vari interessi (…)” [così Cass. 28.3.2017 n. 7938. In senso conforme, tra le molte, si vedano Cass. 9.3.2017 n. 6129 e Cass. 5.8.2015 n. 16486].
Detto altrimenti:

Nell’ambito di un edificio condominiale è tutt’altro che raro il verificarsi di situazioni nelle quali i diritti e gli interessi, di cui sono titolari e portatori alcuni condomini, confliggono con i diritti e gli interessi, di cui sono titolari e portatori altri condomini;

Un esempio è proprio quello che attiene agli interventi di efficientamento energetico con posa di cappotto termico, che sono destinati a produrre una riduzione della superficie dei terrazzi dei singoli condomini: l’interesse della maggioranza dei condomini alla realizzazione di un intervento che, a costo davvero minimo, produce come conseguenza un miglioramento dell’edificio e, quindi, un aumento di valore delle singole unità che lo compongono, confligge con gli interessi e i diritti di chi vede un suo bene – il terrazzo, appunto – sacrificato e, quindi, un suo diritto – quello di proprietà – limitato senza il suo consenso;

Quando siffatte situazioni degenerano in un conflitto giudiziale, il giudice deve porre gli interessi e i diritti dell’una parte a confronto con gli interessi e i diritti dell’altra parte allo scopo precipuo di capire a quali debba attribuirsi efficacia prevalente e a quali si debba, invece, valenza recessiva;


deve – detto altrimenti – decidere se, in concreto, il “sacrificio” imposto al singolo sia tollerabile oppure no.
Esiste un altro profilo di potenziale divergenza e connessa conflittualità tra la volontà
(e i diritti) della maggioranza e la volontà (e i diritti) dei singoli condomini.
Si tratta del divieto – previsto dall’art. 1120, ultimo comma, cod. civ. – di disporre “innovazioni che (…) alterino il decoro architettonico” dell’edificio.
Sul punto, la giurisprudenza è autorevolmente intervenuta con chiarezza anche in epoca recente:

“Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio” [Cass. 19.3.2021 n. 7870]

Perché sussista la lesione del decoro

“ .. è sufficiente che vengano alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità” [Cass. 19.6.2009 n. 14455].
Quanto sopra dimostra che l’assemblea non può, a maggioranza, deliberare un intervento di efficientamento energetico, all’esito del quale l’aspetto esteriore dell’edificio condominiale risulti significativamente diverso rispetto a prima.
Una simile delibera avrebbe – per usare ancora le parole di Cass. SS.UU. 14.4.2021 n. 9839 – “un oggetto impossibile (…) in senso giuridico” e, quindi, dovrebbe essere considerata nulla.
La potenziale divergenza e la connessa conflittualità tra la volontà (e i diritti) della maggioranza e la volontà (e i diritti) dei singoli condomini, dianzi menzionati, balzano in piena luce: è, infatti, sufficiente che anche un solo condomino ritenga l’intervento deliberato dall’assemblea non rispettoso delle linee architettoniche dell’edificio e idoneo a produrre un impatto negativo sul suo aspetto armonico perché “si inneschi” una situazione di conflitto, potenzialmente idonea a “bloccare” l’esecuzione dell’intervento stesso e, con ciò, a vanificare gli scopi di carattere generale, in funzione di quali l’intera normativa sul superbonus 110% è stata concepita.
A sommesso avviso di chi scrive, è di innegabile evidenza che sarebbe a dir poco auspicabile un intervento chiarificatore da parte del legislatore.
Si ritiene, cioè, necessario che il legislatore prenda atto delle criticità legate all’applicazione della normativa in materia di superbonus 110%, come sopra riassunte, e adotti prescrizioni idonee a circoscrivere l’ambito di applicazione della tutela dei diritti dei singoli e, quindi, ad “armonizzare” questa – legittima e, anzi, doverosa – tutela con il perseguimento degli interessi della collettività condominiale, in primis, e della collettività nazionale e internazionale, in secundis, che hanno costituito il punto di origine di tutto questo “impianto” normativo

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